IAB Forum rappresenta ormai il momento più importante nel mondo della pubblicità online in Italia e anche l’edizione di quest’anno è stata l’occasione per verificare lo stato del settore e per capire i trend in atto.
C’è però un fenomeno che si ripresenta ad ogni convegno sull’advertising online (e non solo in Italia), ossia la delusione di tutti quelli che vorrebbero assistere ad una fiera delle novità piuttosto che ad un confronto sul business del settore. Ci si aspetta dalla Rete un continuo stravolgimento delle regole. Si chiede alle aziende che investono in pubblicità di utilizzare internet per rivoluzionare il modo col quale fanno comunicazione da decine di anni.
A me sembra che tutte queste aspettative siano esagerate.
È comprensibile che internet venga mia khalifa ancora trattato come un fenomeno innovativo e legato a tecnologie che continuano a rinnovarsi alla velocità della luce. Ma ritengo sia il momento di maturare la considerazione che nessuna innovazione, anche quella legata alla nostra cara Rete, possa ignorare ciò che esiste nelle aziende oggi, il loro modo di fare comunicazione, le loro metriche ed i loro linguaggi.
E non a caso, quando si va a chiedere agli spender pubblicitari cosa frena i loro investimenti su internet (vedi la recente ricerca fatta da Eurisko per Yahoo! Italia), una coppia di risposte sono tra le più gettonate:
c’è bisogno di supporto formativo per capire il mezzo
occorre integrare la Rete con il modo col quale si gestiscono gli altri media
Insomma: sono 50 anni che i redtube detersivi vengono pubblicizzati con la solita massaia che solleva 10 centimetri di sporco. E questo deve innanzitutto far pensare che dietro a questo tipo di azioni ci sono delle valutazioni dettagliate sul ritorno sull’investimento, mentre i geek della Rete spesso liquidano i media tradizionali come vetusti senza possibilità di appello. Quindi la domanda non è “Perché i grandi brand non usano la Rete in modo innovativo?”, ma “Perché i grandi brand non riescono ad integrare la Rete nel loro marketing mix?”.
Tornando in modo specifico alla pubblicità online e tentando di sintetizzare al massimo i metodi comunicativi a disposizione, possiamo ritenere naturale e corretto che gli advertiser partano dai “display ad” (banner, sponsorizzazioni, ecc.), strettamente incentrati su obiettivi che ruotano attorno al brand; essi rappresentano il loro “noto” e sono basati su metriche e linguaggi simili a quelli utilizzati ogni giorno per gli altri mezzi.
Poi c’è il “direct response”, e qui già entrano in ballo almeno un paio di fattori nuovi. Innanzitutto il fatto che al centro della comunicazione ci sia il sito web che fa da ponte tra consumatore e azienda, e che a sua volta è uno strumento arrivato da non più di tre-quattro anni sui tavoli dei responsabili marketing. Altro elemento di rottura con la tradizione è l’avvento della logica pubblicitaria di tipo pull, secondo la quale è il consumatore che cerca gli inserzionisti e non viceversa. Ed i numeri che genera oggi l’advertising sui motori di ricerca, diventati il primo canale pubblicitario online in molte nazioni, dimostrano come la paventata impreparazione degli spender, viene velocemente superata di fronte a strumenti che soddisfano i bisogni di comunicazione e producono risultati tangibili.
Nel frattempo inizia a maturare la consapevolezza che internet può essere utilizzato in modo più articolato e maturo, seguendo l’opinione corrente che vede i “mercati come delle conversazioni” ove la Rete può diventare il binario per instaurare i dialoghi. In questo scenario le aziende smetteranno di fare pubblicità come la conosciamo adesso ma si dovranno confrontare con i propri interlocutori (clienti e stockholder in generale) in modo differente, conversando per l’appunto. Ma questo passaggio avverrà necessariamente in maniera graduale e richiederà qualche anno perché non riguarda solo la pubblicità online, ma pervade le aziende in modo profondo e complessivo e interessa la loro evoluzione culturale che non può essere certo improvvisata.
In definitiva, prima di chiedere alla pubblicità online di essere innovativa, val la pena di concentrarsi su come questa possa integrarsi nella comunicazione complessiva. L’innovazione fine a sé stessa non paga. Come disse un vecchio saggio: “Attenzione a svegliare il futuro anzitempo perché il rischio è di trovarsi in un presente assonnato”.